venerdì 12 febbraio 2010

da una passeggiata al cimitero

I Martiri all'ombra della Croce
di Eleonora Luci, alunna della V ginnasio a Massa Marittima

Tra quelle colline, vicino alle montagne, sul precipizio di una profonda vallata, si trova un piccolo borgo medievale: è solo un gruppo di case, una scuola e una chiesa, tutte vicine, unite e compatte, quasi volessero unire le loro forze per resistere all'affascinante forza di gravità che le trascina verso il baratro della vallata sottostante, verde e lussureggiante durante i mesi primaverili ed estivi, bianca ed innevata per il resto dell'anno; la vallata è magnifica, solenne e silenziosa, conosciuta palmo a palmo dagli abitanti del paesello e dalla luce del sole, che illumina la distesa d'erba solo a tratti, quando le nuvole lo permettono; e la stradina provinciale che serpeggia tra la vegetazione si muove rapida, proprio come un rettile, con un movimento veloce e sinuoso, percorsa nell'arco di un giorno da una decina di viaggiatori al massimo. Durante l'inverno la maestosità è accentuata dalla neve, soffice e morbida, che soffoca e impedisce ogni rumore, ogni movimento, che rende il paesaggio frutto di un'irrealtà onirica.
Anche nel freddo pungente di quel fine gennaio, la neve tiranneggiava su uomini, natura e fabbricati; tuttavia, in quella bianca immobilità, qualcosa ardiva muoversi. Tra le strette strade del borgo, una professoressa, con al proprio seguito i suoi studenti, arrancava in mezzo alla neve in direzione del cimitero; era immersa nel proprio silenzio, nei propri imperscrutabili pensieri, in lieve e gradevole contrasto con la vivacità delle parole sussurate dagli allievi alle sue spalle. Raggiunsero il grande arco di pietra all'entrata del cimitero, lo oltrepassarono; si ritrovarono accecati dalla bianchezza della neve e dal pallore del sole.
Attraversarono il largo viale, fiancheggiato da grosse tombe disadorne; salirono una piccola scaletta, ed ebbero accesso alla parte centrale del cimitero. Qui, la professoressa distanziò gli allievi, dirigendosi direttamente verso una grande croce che si ergeva dal selciato innevato; gli studenti rallentarono il passo, per lanciare uno sguardo ora a quella tomba, vecchia e abbandonata, ora a quell'altra, di marmo lucido, ricca di piccoli ricordi. Raggiunsero infine il piccolo spiazzo in mezzo al quale si ergeva la croce, alle cui falde la professoressa aspettava in piedi.
La croce era alta e gettava la sua ombra sulla neve fresca; sembrava una regina altera e immobile, che vegliava sui suoi piccoli sudditi di marmo. Era di nuda pietra, senza ornamenti, scanalature o incisioni; era una semplice, alta croce. E incuteva soggezione a quegli improbabili turisti.
Una volta radunati tutti lì, in religioso silenzio, la professoressa indicò le tombe attorno a loro.
.Parlava a voce molto bassa, con grande serietà e anche quasi con timore, trasmesso forse dalla gran croce di pietra. Gli studenti si guardarono attorno: si avvicinarono alle tombe, ne osservarono i nomi incisi; pochi osavano ancora scambiare commenti con i compagni.
Gli studenti fecero cenno di no con il capo; altri continuavano con un misto di meraviglia e stupore ad osservare le tombe.
Fece una pausa. .
Si chinò su una tomba. Tornò presso la croce. .
.Si fermò qualche secondo, ad ammirare l'imponente croce controluce. I ragazzi, presi da quella storia, non fiatavano; aspettavano il finale, che già conoscevano. Erano ansiosi di conoscere altri inquietanti, agghiaccianti particolari. Abituati alla violenza, dopo l'indifferenza iniziale, provavano un senso di repulsione, spontaneo al racconto del male; ma finivano con l'aspettare con ansia l'arrivo dei fucili tedeschi, delle urla dei minatori, degli spari. Indifferenza, repulsione, un senso di attrazione e infine nuovamente il ribrezzo, l'allontanamento: perchè in seguito torniamo a considerare le cose con lucidità e oggettività; e ci si stupisce di aver desiderato quasi, per un momento, di accrescere sofferenza, dolore e morte.
La professoressa era agitata da questi pensieri, osservando i suoi alunni; la generazione futura. Continuò a guardarli: avrebbero capito un giorno che la fucilazione dei minatori di Niccioleta non era solo un evento tragico, un punto culminante di una storia, ma anche un complesso risultato della perversione della mente umana di pochi individui, rispecchiata poi da tutta la società? Potevano loro capire il pericolo di un ritorno di un eventuale Hitler, di uno Stalin, di un Mussolini sotto mentite spoglie, capaci di plagiare la mente di vecchi e giovani, e assoggetarli alla loro ideologia, con i nuovi mezzi tecnologici...? Decise di riprendere il racconto. I suoi ragazzi aspettavano. Chiuse la storia con spietata laconicità.
I ragazzi accetarono silenziosamente il fatto, e rimasero immobili e in silenzio.
Rimasero alcuni minuti in silenzio, la professoressa leggedo distrattamente i nomi dei caduti, gli studenti osservando le lapidi e le altre tombe. Poi l'insegnante richiamò l'attenzione degli allievi su di sè, alzò leggermente la voce:.
Durante il percorso di ritorno, i ragazzi, svincolati dalla sacralità di un luogo sacro quale un cimitero, iniziarono a colpirsi con palle di neve, urlando e ridendo. La professoressa camminava lentamente, leggera sopra la neve; i suoi pensieri erano tutti rivolti ai minatori. Ricordava molto distintamente quella volta in cui la madre le aveva raccontato la vicenda; lei era piccola, seduta sui gradini di casa sua che davano sul giardino. Era estate, c'era caldo e poco vento; sua madre sedeva anch'ella sui gradini, accanto alla sua bambina, e ricamava dei fazzoletti. Suo padre non c'era, era andato via per lavoro; e sua madre quelle volte le raccontava delle favole; quella volta però nessun lieto fine.
Qualcosa l'aveva colpita, se ne ricordava ancora: la madre le aveva raccontato che quel giorno i minatori, prima di lasciare la loro casa, avevano informato le mogli dei cambi di programma dei tedeschi; e le donne avevano preparato ai mariti cesti con il pranzo, confezionati con cura e amore, con dentro il cibo cucinato per loro.
Avrà avuto circa sette, otto anni.
Si alzava, si metteva davanti alla madre e ripeteva petulante l'imperativo ''dimmelo, dimmelo'', fino a quando lei, annoiata dai capricci della bimba, non cedeva e cercava di spiegarle di malavoglia il perchè di quella carneficina; un conto è raccontare favole, un altro far capire a una bambina di otto anni l'ideologia nazista. La bambina non aveva capito molto bene; e anche se la storia le aveva lasciato dentro un leggero turbamento aveva sorvolato sulla cosa come solo i bambini sanno fare. E ora...e ora si ritrovava con più di cinquant'anni sulle spalle, a passeggiare sul quel sentiero nevoso, con dietro di sè i suoi studenti che si bombardavano con palle di neve; qualcuno rideva, qualcuno si lamentava per i danni subiti, altri, gloriosi comandanti, infierivano sui vinti, sui nemici in fuga. Anche quel gioco infantile recava in sè un principio di violenza e prevaricazione: l'obbiettivo era quello di colpire l'altro e non essere colpito. Un po' come quello della guerra, distruggere senza essere distrutti. Centinaia di anime e corpi giovani, che pieni di ideali puri in quel medesimo momento si addestravano volontari in accademie militari, avrebbero finito col perdere la vita in qualche scontro armato, per futili o ragionevoli motivi o più semplicemente sarebbero tornati a casa. Ma spesso, quelli che cadono per primi, sono proprio i più giovani: subito comprendono che la guerra non è quella che credevano, non quella che i telegiornali fanno credere; ma è qualcosa di peggiore, che era sfuggito al loro pensiero. I più esperti invece sopravvivono; anche loro sono stati giovani e disorientati, ma hanno resistito; e ora guardano i novellini sapendo, capendo con uno sguardo, come dovranno morire. Anche i nostri minatori, da un certo punto di vista, hanno scelto il loro destino; d'altronde sapevano che alleandosi con i partigiani correvano un rischio enorme, che avrebbe provocato loro la morte. Avevano deciso di dare una mano alla liberazione.
Ormai sarebbero sempre stati ricordati come martiri, come coloro che versarono il proprio sangue per la libertà, nomi incisi su lapidi di marmo grigio spento, all'ombra di una grande croce disadorna, in semplice pietra.